"...è socialista quella società che riesce a dare a ciascun individuo la massima possibilità di decidere la propria esistenza e di costruire la propria vita..."

(Riccardo Lombardi)

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Dopo le rivelazioni dell'ex Mani Pulite

“Di Pietro propose a Craxi un patto: lasciare la politica in cambio dell’uscita dall’inchiesta”, la rivelazione di Bobo Craxi

Bobo Craxi, ha letto le parole di Gherardo Colombo? “I politici che avessero accettato di collaborare e si fossero fatti da parte, rispetto alla vita pubblica, sarebbero usciti dalle indagini”, ha scritto nel libro che ha pubblicato con Enzo Carra. Siamo davanti alla prova generale di colpo di Stato? Il potere giudiziario ha tentato di sopraffare il potere politico e di sostituirvisi. È nelle carte. Il Procuratore Capo Francesco Saverio Borrelli a un certo punto uscì allo scoperto. Con un messaggio pubblico rivolto all’allora presidente della Repubblica, Oscar Luigi Scalfaro, fece sapere di essere pronto. “Sono a disposizione”. Mentre mettevano fuori gioco la classe politica, si candidavano a sostituirla.

Attuarono un golpe bianco, e neanche tanto bianco, se pensiamo al “tintinnar di manette”…
C’è stato un meccanismo preciso con cui il colpo di Stato ha provato ad avere successo: quando hanno provato ad attuare una “rivoluzione morale”, evocando la piazza, surriscaldando gli animi. Il sovvertimento può avvenire attraverso le armi, con la presa del potere militare. Oppure con la politica, come nelle rivoluzioni gentili. Oppure, ed è una via di mezzo, con l’arma giudiziaria. Una rivoluzione in parte armata e in parte gentile. Questo meccanismo si palesò ad un certo punto delle inchieste.

Quale fu la dinamica?
Fu un’escalation. La trattativa tra l’accusa e la difesa prima del processo, nella fase istruttoria, avvenne in un momento in cui la cupola giudiziaria si era arrogata poteri straordinari. Questo le ha consentito di parlare di politica con i politici, trascendendo dal ruolo naturale del giudice per ergersi a elemento regolatore dell’ordine istituzionale. In quella fase mio padre, Bettino Craxi, incontrò una serie di volte Antonio Di Pietro. In maniera assolutamente irrituale e informale.

Fu Di Pietro a chiedergli di incontrarlo?
Sì. In maniera del tutto extra legem.

Dove?
Mai al Palazzo di Giustizia, sempre in modo informale, discreto, in territorio neutro. Alla presenza dell’avvocato di mio padre, Nicolò Amato, senza altri testimoni; non vi sono eloquenti tracce verbali riprodotte nei processi a suo carico.

Quanti furono quegli incontri?
Furono una serie. Almeno tre. Tutti lontano da occhi indiscreti.

In quale fase dell’indagine di Mani Pulite avvennero?
Nel 1993, prima del processo Cusani.

Sa cosa si dissero? Suo padre gliene avrà parlato…
Certo, ne rimase particolarmente interdetto. Mi ricordo che tra le prime cose mi raccontò di un Di Pietro diverso da quello che si vedeva in pubblico, più accomodante, perfino mite. D’altronde i rumori su di lui si erano fatti assordanti.

Cosa gli chiese?
Di Pietro chiese a mio padre di restituire i denari illecitamente percepiti dal Psi, facendogli capire che se avesse collaborato con le indagini e fatto un passo indietro rispetto alla politica, il suo coinvolgimento nell’inchiesta penale sarebbe finito lì.

Cosa rispose suo padre?
Lo mandò a stendere. Per la procedura irrituale, inaccettabile. E per la premessa stessa, che lo offendeva: i finanziamenti illeciti non finirono mai nella disponibilità personale di mio padre. Non li aveva lui, non li aveva mai avuti. E dunque non poté che rifiutare quell’approccio, quell’apertura di trattativa.

Finanziamenti che pure vi furono, come disse lui stesso alla Camera, in quel discorso del 29 aprile ’93…
Non negó mai la conoscenza di finanziamenti illeciti. Né tantomeno si è mai negato il suo utilizzo nella maggioranza dei casi palese anzi palesissimo visto che un partito nazionale affrontava elezioni a rotta di collo, che le sue strutture territoriali erano ben evidenti ed altrettanto evidente il collateralismo politico. Un po’ più occulto era il finanziamento in direzione di partiti o movimenti politici esteri sovente in lotta per la libertà e la democrazia; pratica che continuo a considerare ancora molto nobile.

Fece delle ammissioni, rispetto ai reati contestati, in camera caritatis?
Craxi diede una serie di elementi di natura sistemica. Come poi fece in pubblico, parlando quell’ultima volta in Parlamento, chiarì come tutti i partiti avevano pattuito un finanziamento non lecito, al fine di tenersi in piedi. Lo ribadì anche a Di Pietro, che però aveva una missione unica: non quella di capire il fenomeno in generale, ma quella di recuperare quello che definiva “bottino”.

Dal rifiuto di arrendersi di suo padre nacque la necessità di arrestarlo, di metterlo a tacere con l’arma delle manette. Iniziò quella che Vittorio Feltri aveva chiamato “caccia al Cinghialone”, espressione di cui poi si è pentito.
Già, serviva un trofeo di caccia. E il trofeo più importante da esibire per le carriere di ciascuno degli attori. Questo accadde più tardi, quando si capì che mio padre non sarebbe stato al gioco. Quando rifiutò la resa. E allora inforcarono le armi, provando ad arrestarlo. Siamo dopo il 30 aprile 1993. Ci provò un Pm di Roma, Misiani. Ne incaricarono un ufficiale di polizia, il maggiore Francesco D’Agostino, che venne a fare delle incursioni anche ad Hammamet, senza riuscire a portare a casa il trofeo. Ed è poi finito sotto inchiesta a sua volta…

Torniamo al Di Pietro della trattativa. Era latore di una direttiva, era parte di una strategia?
Da parte della Procura di Milano ci fu una duplice tentazione. Quella di incidere sulla politica e sulle istituzioni, costituendo una barriera tra il vecchio e il nuovo, ma anche quella di trovare una onorevole via d’uscita per una inchiesta che si estendeva a macchia d’olio ogni giorno di più. A un certo punto fu chiaro agli inquirenti che se avessero applicato con metodo quella indagine a tutti, partiti, aziende, enti pubblici, si sarebbero dovute celebrare infinite serie di maxiprocessi.

E provarono a tirare una riga?
Provarono a offrire una sorta di indulto coperto per chi avesse accettato di cambiare vita, rinunciando alla politica. Lo hanno dovuto proporre a tanti, se non a tutti, se sono arrivati a parlarne perfino con Bettino Craxi.

C’è stato un precedente giudiziario?
C’è stato nell’ambito della stessa inchiesta Mani Pulite. Nella prima parte, dal 1992 all’inizio del 1993. La formula aveva funzionato con alcune delle aziende coinvolte, dove i manager si erano dimessi, avevano collaborato dando informazioni ed elementi e avevano accettato di ritirarsi e di non proseguire nelle rispettive carriere, o di andare a vivere per un periodo all’estero. Ci sono molti casi.

Ma chiedere la stessa cosa ad un politico eletto democraticamente, ad un rappresentante delle istituzioni è ben diverso…
Ed emerge oggi in tutta la sua gravità. Ma all’epoca a quei magistrati doveva sembrare normalissimo. La classe dirigente viene rimossa quando c’è una rivoluzione o quando arriva un esercito invasore. Quei giudici si comportarono così: come rivoluzionari di piazza o meglio, come un esercito armato che conquista la capitale, entra nei palazzi e spodesta con la forza chi guida le istituzioni.

La politica ha provato a resistere. Suo padre Bettino non si consegnò mai, da vivo.
Mio padre aveva un senso delle istituzioni che non gli consentiva di scendere a patti sulla tenuta democratica, sulla legittimità degli eletti. Denunciò da subito gli eccessi della barbarie giustizialista.

Il golpe riuscì, però, in parte.
Sul piano politico di fatto imposero un ricambio forzato di classe dirigente. Diedero all’avviso di garanzia la valenza della condanna, impallinando questo e quello fino a smontare il Parlamento e a distruggere cinque partiti. Quando costrinsero Scalfaro a sciogliere le Camere si capì che per un verso stavano vincendo loro.

E per altri versi?
Beh, dal punto di vista tecnico l’inchiesta Mani Pulite fu un fallimento. Non portò mai ad una conclusione chiara, accontentandosi di seminare il panico. Alcuni indagati si suicidarono. Altri se la cavarono con l’abiura. Alcuni processi sono durati dieci anni e oltre, portando anche a tante assoluzioni.

Articolo di Il riformista

Intervista di Aldo Torchiaro pubblicata su Il Riformista il 14 aprile 2023