"...è socialista quella società che riesce a dare a ciascun individuo la massima possibilità di decidere la propria esistenza e di costruire la propria vita..."

(Riccardo Lombardi)

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Il futuro è dinanzi a un bivio: o Socialismo o barbarie!

(Rosa Luxemburg)

 

Il socialismo è portare avanti tutti quelli che sono nati indietro.

(Pietro Nenni)

 

Meglio sbagliare stando dalla parte dei lavoratori che avere ragione contro di essi.

(Pietro Nenni)

 

 

 

“SONO PENTITO DI AVER LANCIATO LE MONETE A CRAXI”: DA QUEL GIORNO CONSEGNAMMO L’ITALIA IN MANO ALLE PROCURE. UN PEZZO DI RONDOLINO DA LEGGERE TUTTO DI UN FIATO

Sfogo di giustizialista pentito contro il terribile 1992
La serie è una mediocre collezione di luoghi comuni. Io che cosa fossero il giustizialismo, Mani Pulite e l’anticraxismo che ci insegnava il Pci, lo capii la sera delle monetine al Raphael: una folla inferocita che tenta il linciaggio. Quel giorno morì la sinistra riformista, e consegnammo il Paese alle Procure
di Fabrizio Rondolino

1992 non è una serie su Tangentopoli, sul finanziamento illecito della politica o sulle inchieste del pool di Milano: è una mediocre collezione di luoghi comuni contro Craxi e contro Berlusconi che, francamente, non merita di esser vista né commentata, se non come segno di una malattia profonda del nostro spirito pubblico. Che cosa fosse Mani pulite, io l’ho capito la sera del 30 aprile 1993. Quel pomeriggio avevo un appuntamento all’hotel Raphael con Gennaro Acquaviva, capo della segretaria socialista, per convincerlo a convincere Craxi a rilasciarmi un’intervista per l’Unità. I rapporti fra Pds e Psi, nel fuoco di Tangentopoli, erano praticamente inesistenti. Col senno di poi, direi che è questa la causa fondamentale del crollo della democrazia in Italia. Col senno di allora, ero incuriosito da Craxi (che non avevo mai conosciuto di persona) e desideravo saperne di più. Acquaviva mi disse che non sarebbe stata cosa facile, e ci lasciammo con l’impegno a rivederci nei giorni successivi. Anziché tornarmene al giornale, rimasi davanti al Raphael per aspettare l’uscita del segretario socialista: chissà, forse sarei riuscito ad avvicinarlo e – questo era il sogno di tutti i cronisti politici, allora – forse sarei riuscito a salire in macchina con lui per scambiare quattro chiacchiere.

Quel giorno, a piazza Navona, c’era una manifestazione del Pds convocata per protestare contro la mancata autorizzazione a procedere contro Craxi. La sera prima, infatti, la Camera aveva respinto a maggioranza la richiesta della Procura di Milano, e i ministri di area pidiessina (Barbera e Visco) si erano immediatamente dimessi dal neonato governo Ciampi. Occhetto aveva finito da poco di parlare, quando – saranno state le otto di sera – Craxi uscì dal Raphael. L’albergo era circondato dai manifestanti (post-)comunisti arrivati alla spicciolata dalla vicina piazza, e io ero pacificamente in mezzo a loro, ancora convinto di poter avvicinare il leader socialista per la mia intervista. Sottolineo questo dettaglio perché ciò che accadde poco dopo – gli insulti, le banconote sventolate e soprattutto il fitto lancio di monete – fu per me del tutto inaspettato, inatteso e persino inconcepibile. Indietreggiai di qualche passo e rimasi immobile a fissare la scena – quella stessa scena poi riproposta centinaia di volte dai telegiornali – per un tempo che mi parve infinito, e che si concluse infine con l’auto blindata di Craxi che faticosamente fendeva la folla urlante.

Qualcuno già allora paragonò l’episodio a piazzale Loreto: non perché Craxi fosse Mussolini, ma per ladisumana violenza della plebe selvaggia. Per quanto mi riguarda, quel giorno la mia opinione su Mani pulite cambiò radicalmente. Ero anch’io, come quasi tutti i (post-)comunisti, un giustizialista e un antisocialista – mi capitò persino, e oggi me ne vergogno sinceramente, di incorniciare il primo avviso di garanzia ricevuto da Craxi nel ’92. Quella sera davanti al Raphael capii che cosa effettivamente fosse il giustizialismo, che cosa fosse Mani pulite, che cosa fosse l’anticraxismo cheBerlinguer ci aveva insegnato e che Occhetto andava coltivando: nient’altro che una folla inferocita che tenta il linciaggio.

Se ripropongo questo ricordo, è perché credo da tempo che quel 30 aprile 1993 sia stato il punto di non ritorno della sinistra italiana, oltrepassato il quale non ci sarebbe mai più stata, in Italia, una sinistra riformista unita e vincente (Renzi, comunque lo si giudichi, è tutta un’altra storia). Quelle monetine hanno consegnato il Paese a Berlusconi e a Di Pietro, hanno abolito la democrazia dei partiti e hanno ridotto il Parlamento a ostaggio delle procure. Eppure ancora ci accapigliamo, e non soltanto a sinistra, sulla “riabilitazione” di Craxi: al contrario, dovremmo chiedere noi alla memoria di Craxi un segno di perdono.

FONTE: http://www.lintraprendente.it/2015/03/sfogo-di-giustizialista-pentito-contro-il-terribile-1992/