Veltroni, il buonista diventato un bel partito
Nessun
romano è soddisfatto per come si vive a Roma. Ma in tanti amano il sindaco
Walter Veltroni che non sa amministrare la città.
È il miracolo di questo cinquantunenne ds che a furia di moine ha turlupinato
tre milioni di allocchi. Con dosi da cavallo di languide omelie, ha sovrapposto
la sua immagine amabile a quella della città invivibile. Ha fatto come certe
fanciulle furbe che coprono con le giarrettiere rosa i ponfi della cellulite.
Walter è un tipo che cerca accordi orbiterracquei. La sua giunta raggruppa una
miriade di partiti, dai vetero dc a Rifondazione comunista. Fosse per lui, ci
sarebbe posto anche per la destra. Ma per dare retta a tutti, si condanna
all’immobilità. Così, per coprire il vuoto, scrive teneri romanzi, tiene corsi
di politica ecumenica, taglia nastri in Africa, educa le scolaresche al bene
accompagnandole nei lager nazisti.
La capitale intanto schianta. Sommersa da caos e sporchezza. Walter assiste
inerte. Mentre i romani si napoletanizzano a vista d’occhio, i vigili li
chiudono entrambi. Tutti liberi di guidare chiacchierando al cellulare,
attaccarsi al clacson, gettare i rifiuti per strada, lasciare sul marciapiede i
bisogni del cane, scivolarci sopra rovinosamente e aspettare invano
l’autoambulanza. L’insieme, passa per «buonismo» veltroniano, quasi una
filosofia. Invece, è solo frutto d’impotenza.
Rifondazione è tra i più stretti alleati di Walter. Tra i consiglieri comunali
di Rc c’è Nunzio D’Erme, che sparse letame davanti all’ufficio di Silvio
Berlusconi premier. Invece di cacciarlo, Walter se l’è tenuto. La conseguenza è
che se un tuo consigliere getta guano, non puoi poi vietare a un cittadino di
fare la pipì al primo semaforo. E la Roma multietnica è piena di gente così.
D’Erme è una colonna del veltronismo e un caso a sé. In origine era un maestro
di nuoto. Divenuto allergico al cloro delle piscine, traslocò in politica. Ha
fondato Action, gruppo di sciamannati che occupa case. Compiono illegalità ogni
settimana e a Roma non ci bada più nessuno. I Tg locali ne danno distratta
notizia tra le varie e eventuali. Sono anche questi i veleni del veltronismo che
corrompono la città.
Svitato com’è, D’Erme ha fatto arrabbiare perfino Walter. Un giorno si sporse
dalla finestra del Campidoglio e, di punto in bianco, cominciò ad arringare i
passanti sul bisogno di case. Il sindaco lo tirò dentro e gli disse severo: «Non
puoi infastidire così». E l’altro, romanescamente: «Sti c...zi che do fastidio.
Fatti li c... tuoi». Veltroni avrebbe dovuto prenderlo a pedate. Invece,
inghiottì, prigioniero del suo modello di governo improntato al volemose bene.
Testardaggine che gli impedisce di fare il sindaco in favore della città,
anziché per la propria ribalta soltanto.
D’Erme è anche il ponte tra Walter e i no-global: centomila voti, tra annessi e
connessi. È la ragione per cui Roma è diventata la capitale pure dei centri
sociali. Ce ne sono almeno 30, lautamente foraggiati dal Comune. Quando un paio
di anni fa il governo Berlusconi fece qualche taglio agli enti locali, Walter
drammatizzò: «Saremo costretti a spegnere 25mila lampioni». Poi però, aumentò le
sovvenzioni ai no-global rifondaroli, pure essendo quello di Roma il municipio
più indebitato d’Italia: 14mila miliardi di vecchie lire. Quest’anno ha fatto di
peggio. Senza un lamento, ha accettato i grossi tagli alle città decisi dalla
Finanziaria di Prodi. E, senza una parola, Roma e la Regione Lazio hanno
aumentato del cento per cento le tasse locali.
Tutte le corbellerie di Veltroni nascono dall’eccesso di buoni rapporti
personali che ha con tutti. Se vuole, come ogni tanto prova, a spostare un campo
nomadi dei più di cento sparsi per Roma, saltano su i suoi amici preti. Lo
ammonisce la Caritas, minaccia di voltargli le spalle la Comunità di Sant’Egidio,
fanno appello al suo buon cuore le parrocchie. Il sindaco si tira indietro e i
nomadi dilagano. Scippano, svaligiano e ai semafori si intrufolano col busto in
macchina per pretendere l’elemosina.
I soli romani che se la godono sono i costruttori edili. Con Veltroni hanno
avuto carta bianca. Messi a tacere quelli di Rifondazione e i verdi di Paolo
Cento con le prebende ai no-global, Walter ha dato il via libera a nuove strade,
quartieri e grattacieli. Anche questo è il veltronismo: un colpo al cerchio dei
centri sociali, uno alla botte del grande capitale capitolino e gli opposti
convivono sereni all’ombra benedicente del sindaco buono. L’effetto, sono le
sviolinate al primo cittadino di giornali e tv romani di proprietà dei
palazzinari. Non solo lo osanna Il Messaggero di Caltagirone che è di
centrosinistra, ma anche Il Tempo di Bonifaci che è di centrodestra. Al coro si
uniscono, per affinità politica, le pagine romane del Corsera e della
Repubblica.
Questo, dunque, è il sistema Veltroni, a Roma, ed è con questa corte di
adoratori che Walter si candida alla guida del Pd, sua suprema aspirazione per
un rientro sulla scena nazionale.
Niente lasciava pensare in fanciullezza che Walter fosse destinato in alto.
Invece ha messo a frutto ogni occasione e quatto quatto ce l’ha fatta. A un anno
era già orfano del papà, Vittorio, che morì di un tumore a 38 anni. Fu il primo
direttore di telegiornale della nascente tv. Era un dc molto legato a Ettore
Bernabei, che della Rai fu il padrone per un ventennio. Walter cita volentieri
un passo, in cui Leopardi sostiene che molti grandi uomini sono rimasti orfani
da piccoli. Dunque, ne ha fatto un trampolino di lancio. Morto il marito, la
mamma di origine slovena, Yvanka Kotnik, fu assunta dalla Rai nel settore
musicale. Walter ne profittò per farsi una cultura discografica che gli è poi
servita per allacciare rapporti con una tribù di cantanti e per eleganti
citazioni nei suoi discorsi. La Rai è sempre rimasta in cima ai suoi pensieri ed
è tuttora un suo feudo politico e di affetti.
A scuola, fu un somarello. Respinto in IV ginnasio al Tasso, noto liceo della
sinistra romana, emigrò in una istituto di periferia. Questa breve e ingloriosa
permanenza non gli ha impedito di scrivere i suoi ricordi sul Tasso in un libro
compilato da ex studenti illustri. La nuova scuola era la Cine tv, per aspiranti
cineasti. Qui, si è diplomato cineoperatore. Anche di questo titolo modesto ha
fatto un punto di forza. Oggi, sembra che il cinema lo abbia inventato lui.
Sulla base di quest’unica competenza - all’università non si è neppure iscritto
- divenne nel '96 il primo ministro della Cultura nella storia d’Italia. Quando
diresse l’Unità, fu il primo ad allegare a un quotidiano i film in cassette. Da
sindaco, l’anno scorso, ha istituito il festival cinematografico romano. Come il
norcino col maiale, Walter non butta via nulla delle sue pur striminzite
esperienze. È la sua qualità di fondo. L’altra è una prudenza al cubo. Cominciò
a esercitarla a undici anni quando respinse una ragazzina che stava per dargli
un bacio perché - spiegò in un’intervista - «mi sembrava disdicevole dal punto
di vista igienico».
Fondamentale per la sua formazione è stato il fratello Valerio, maggiore di
sei anni. Era l’intelligente di casa, ma di un’intelligenza distorta. Fu infatti
Valerio a avvicinare la famiglia al Pci. Era però un comunista sui generis col
mito dei liberal americani. Walter succhiò da lui diverse cose, tra cui la fissa
per i Kennedy. Valerio a 25 anni stava per diventare capo della Fgci, i giovani
comunisti. All’ultimo, gli fu preferito uno più controllabile. Si disamorò e
piantò il Pci per gli affari. Walter gli subentrò anguillesco nei ruoli di
partito.
Paziente e obbediente fece tutta la trafila. Capo della Fgci romana, deputato
nell’87, vicepresidente del Consiglio del governo Prodi nel '96, segretario dei
ds nel '98. Guidava lui il partito quando Berlusconi vinse nel 2001. Non ne fece
una malattia, né si è mai lasciato andare a insulti al Cav, tipo Fassino & co.
Di sette vite come i mici, cominciò a deliziare i romani dal Campidoglio con
maratone, notti bianche, concerti e spaghettate.
Questa ideologia dei circensi è l’accumulo dei suoi prudenti amori e delle sue
futili esperienze. Berlinguerismo, kennedismo, canzonette, film, Juventus, mal
d’Africa e «krapfen», la ciambella dolce, che fa il paio con l’analoga passione
per la Sachertorte del regista Nanni Moretti, suo amico per la pelle. Sempre
amabile, Walter non ha mai contraddetto nessuno. Se è in disaccordo, si limita a
fissare l’interlocutore con uno sguardo da pesce bollito di insuperabile
mitezza.
Detesta le battaglie. Un episodio per tutti. Quando nel '94 fu defenestrato,
Achille Occhetto per ostacolare Max D’Alema spinse Walter a contendergli la
segreteria. «Devi batterti», gli raccomandò. Walter, invece, alla prima
difficoltà si ritirò. Da allora, Achille non gli parla. Ma parlandone, dice: «Veltroni?
Un leone!». Tre parole che sono il suo ritratto.
Articolo di Giancarlo Perna
pubblicato su "il Giornale" del 28/5/2007 |